Il farro è una pianta rustica dalla spiga affusolata, compatta e aristata con la giumella che resta aderente alla cariosside. La coltivazione si adatta bene in terreni poveri, pietrosi, collinari/montani (m. 900/1200); resiste agli inverni più rigidi, nonché a condizioni limite di aridità ed umidità; possiede un forte potere competitivo nei confronti delle infestanti e maggiore resistenza alle comuni malattie dei cereali, per cui i terreni dove viene coltivato, non conoscono l’uso di diserbanti ed antiparassitari.
Per l’eliminazione degli involucri esterni è necessaria una successiva “sgusciatura” (indicata anche come “scortecciatura”, “sbramatura”, “svestitura”), inconveniente che, insieme alle basse rese, ha nel tempo provocato il quasi abbandono della coltura, proseguita solo in aree marginali. Pertanto, per il consumo alimentare, dopo la trebbiatura, il seme deve essere liberato dal suo rivestimento operazione questa piuttosto complessa tanto che, un tempo, si doveva “sfarrare” la granella frantumandola con macine di pietra azionate a mano. Anche la pulitura avveniva manualmente e con fatica, lanciando in aria il farro spezzato affinché il vento lo liberasse dalla pula. Fu solo negli anni ’70 che il sig. Renato Cicchetti, da sempre produttore di farro, riuscì a mettere a punto una macchina che sfruttava un ventilatore azionato dal motore d’una lavatrice elettrica. Nel tempo uno dei suoi figli modificò delle normali macchine da riso, riuscendo a decorticare il farro senza dover spezzare il seme.
A Monteleone di Spoleto, la semina avviene in primavera. Il farro può essere ridotto in granuli, come il pane grattugiato, ed in farina. Quello di Monteleone di Spoleto è l’unica specie di farro che non produce farina bianca, ma dello stesso colore della cariosside cioè color tabacco chiaro. Generalmente si cucina granuloso (polpette, minestre). Il Farro si può utilizzare anche in grani come il riso (supplì, piatti freddi ad insalata, gallette, farro tostato in cialde) dopo un sufficiente tempo di cottura e nello stato di farina, soprattutto per crostate, tramezzini, biscotti e focacce varie.
Il farro è uno dei più antichi cereali utilizzati dall’uomo. Esistono varie specie di farro; quella che si coltiva a Monteleone di Spoleto è la più pregiata: il “Triticum dicoccum”. La diffusione del farro nella zona di Monteleone di Spoleto è attestata anche dagli appellativi di “mangiafarre” o “farrari de San Nicola” con cui gli abitanti dei comuni vicini indicavano i monteleonesi. Quest’ultima denominazione fa riferimento al rituale del “Farro di S. Nicola” che si svolge da tempo immemorabile il 5 dicembre, nella vigilia della ricorrenza del Santo, patrono del paese.
In tale circostanza, il parroco prepara nella canonica della chiesa di S. Nicola una minestra di farro condita con sugo di magro, cotta in un grande caldaio appeso sul focolare e distribuita a mezzogiorno agli abitanti di Monteleone, a cominciare dai bambini, destinatari privilegiati, che per l’occasione anticipano l’uscita dalla scuola.
Il rituale vuole ricordare il miracolo che la tradizione attribuisce a S. Nicola che, passando per Monteleone ed impressionato dalla indigenza dei suoi abitanti, avrebbe consegnato il farro per sfamare i poveri. Proprio la permanenza di questo singolare rituale ha favorito la continuità della sua coltura a Monteleone, tanto da diventare un tratto caratterizzante di questo territorio.
La sua qualità consiste nella scarsità di grassi e nella ricchezza di sostanze amidacee. In esso si trovano fortemente presenti: le vitamine A, B, C, E, i sali minerali, il calcio, il ferro, il rame, il potassio, il magnesio, il fosforo, il manganese ed anche proteine ed acidi grassi polinsaturi. Altra caratteristica è la ricchezza di fibre insolubili.
Tutto ciò fa del Farro di Monteleone di Spoleto, un piatto salubre, nutriente, di facile digestione, ottimo regolatore dell’intestino, rinfrescante, che non fa ingrassare pur producendo una forza rigeneratrice, vitalizzante e correttiva delle interferenze di tanti tossici.
Fonte: Comune di Monteleone di Spoleto